La religione nell’antichità

 

 

Fin dall’antichità l’uomo seppelliva i propri defunti e ciò non era dovuto solo a ragioni d’igiene o di rispetto, ma anche all’intuizione che vi fosse una vita nell’aldilà. Le modalità di sepoltura sono diverse e stanno ad indicare, oltre al culto religioso seguito, la descrizione di come veniva immaginata questa nuova vita ultraterrena.

A riprova di ciò consideriamo, ad esempio, le ossa umane che sono state rinvenute nei terreni dove sorgono i grandi megaliti. I megaliti, enormi strutture di pietra che l’uomo antico erigeva come prima forma di tempio, ricordano la montagna che, per semplice intuizione naturale, avvicina l’uomo al cielo e quindi alla divinità. Inoltre, queste costruzioni delimitano sempre uno spazio sacro che serve a officiare il culto.

 

Megalito: da mega  - grande e lythos - sasso è un enorme pietra conficcata nel terreno dall’uomo. Sono strutture più o meno elaborate, cioè formate da una o più grandi pietre.

 

Statua della dea Cybele (Museo Getty Villa, Malibu, California, USA) una delle differenti e numerose espressioni della “Magna Mater”, la Grande Madre.

 

Presso i siti archeologici delle aree più antiche di insediamento umano sono state trovate statuette che raffigurano le prime divinità: si tratta di divinità femminili chiamate veneri o dee-madri; sono rappresentate generalmente come figure piuttosto formose, spesso incinte, perché venivano invocate per propiziare la fertilità e l’abbondanza nella famiglia, nell’agricoltura e nell’allevamento.

Le grandi civiltà antiche del bacino del Mediterraneo hanno sviluppato religioni politeiste la cui eco giunge fino ai giorni nostri. Alcune di queste realtà, migrate da quei luoghi alla nostra attuale Europa, hanno lasciato dei segni anche nelle nostre terre, come avvenuto ad esempio per la dea Cybele, il cui culto ha raggiunto l’attuale Italia centrale appenninica. Passiamo in rassegna queste realtà e cogliamone i tratti comuni, le differenze e gli influssi giunti fino ai nostri giorni.

 

Il menhir, dal bretone men e hir "pietra lunga", si presenta come una grossa pietra allungata eretta verticalmente.

 

Il dolmen è una tipologia di tomba antica a camera singola.

 

Il cromlech è costituito da pietre conficcate a terra in modo tale da creare una piccola o grande camera circolare.

 

 

La religione nella Mesopotamia

 

In Mesopotamia si sono succedute grandi civiltà (gli Accadi, i Sumeri, gli Assiri e i Babilonesi), diverse tra loro, ma con tratti comuni per quanto riguarda le loro religioni:

• sono politeiste;

• le divinità sono antropomorfe, cioè rappresentate con forma umana;

• il tempio era chiamato Ziggurat ed era una piramide a gradoni con il vertice a terrazza; era fortificata perché aveva anche funzione difensiva;

• codificano in miti la tradizione orale;

• credono in un aldilà che è poco rassicurante per tutti: l’anima vaga senza meta.

 

Mesopotamia: («in mezzo ai due fiumi») è il nome della regione geografica che si trova tra il Tigri e l’Eufrate, oggi Iraq.

 

La grandiosa ziggurat dell’antica città di Ur, fatta costruire dal re Ur-Nammu alla fine del XXI secolo a.C.: l’idea di raggiungere la divinità fa costruire all’uomo “montagne”.

 

Il mito di Gilgamesh

 

Gilgamesh il re della città di Uruk. Era un buon re, ma aveva la mania di abbellire senza limite le strade, le piazze e i palazzi della sua città. I sudditi, disperati e stanchi di essere tassati per quelle spese esose, cominciarono a pregare; pregarono così tanto gli dei del cielo che la dea Aruru, la creatrice, ascoltò ed esaudì la loro richiesta. Per distogliere Gilgamesh dalla sua fissazione, la dea prese dell’argilla, la modellò, ne formò un uomo, gli diede la vita e lo mandò al re. Enkidu, l’eroe nato dalle mani di Aruru, e Gilgamesh per un po’ si contrastarono, ma poi diventarono grandi amici e cominciarono a vivere tante avventure insieme. Sia come sia, lo scopo era stato raggiunto: Gilgamesh si occupava d’altro.

Purtroppo, però, Enkidu si ammalò e morì. Gilgamesh di fronte alla morte dell’amico cadde in una profonda disperazione e cominciò ad invocarlo a voce alta di giorno e di notte senza tregua. Il fastidio di questi lamenti fece sì che le divinità del cielo decisero di permettergli di vedere per l’ultima volta Enkidu, così da farlo smettere. Saputo che ebbe dell’esistenza di un luogo per i morti, Gilgamesh pensò che sarebbe diventato suo unico scopo trovare l’immortalità da regalare ai suoi sudditi, finché scoprì che il suo segreto stava in una pianta che vive in fondo al mare: bisognava cercarla, trovarla e mangiarla.

Gilgamesh partì, la cercò, la trovò e, mentre stava tornando a casa, vide sulla riva del mare una fontana di acqua fresca che lo ammaliò e sembrò invitarlo a bere e a lavarsi. Gilgamesh si lasciò tentare, abbandonò la barca per andare alla fontana e lasciò incustodita la pianta dell’immortalità che fu mangiata da un serpente.

 

 

Rilievo raffigurante Gilgamesh mentre doma un toro. Spesso lo si vede anche dimostrare la sua forza con i leoni.

 

 

La religione in Egitto

 

La sfinge di Giza in Egitto, con sullo sfondo la piramide di Cheope.

 

Nell’antico Egitto la religione aveva carattere politeista. Le tante divinità erano rappresentate sia in forma umana (antropomorfa) che in forma animale (zoomorfa).

La divinità principale, a capo del pantheon, era il dio Ra, che veniva rappresentato con il disco solare e aveva la sua personificazione in terra nella figura del faraone. In alcune città questa divinità era chiamata Amon, in altre Aton. Va considerato, a questo riguardo, il nome di alcuni faraoni: Ramses (Ra-mses), Tutankhamon (Tutankh-amon).

Nel 1356 a.C. il faraone Amenofi IV cercò di superare il politeismo e di instaurare un monoteismo attorno al dio-sole, per il quale scelse il nome di Aton cambiandosi anche il suo nome (Akhenaton). Egli, però, fu duramente contrastato dai sacerdoti che, per questa decisione, avrebbero perso sia in autorità sociale che in potere economico. Alla morte del faraone fu ripristinato infatti il culto politeista precedente. In ogni caso, politeismo o monoteismo, la gente cominciò a scegliere, tra le tante, una divinità sola cui chiedere protezione contro le malattie e contro le sventure.

Il tempio, casa di dio, cominciò ad avere caratteristiche architettoniche particolari come colonne, vestiboli, atri. Costruiti con il massimo splendore, essi offrivano stanze riservate ai fedeli, alcune solo per i sacerdoti, altre solo per il faraone. Le statue delle divinità venivano curate come fossero uomini in carne ed ossa, perciò si portava al tempio acqua, cibo, vestiti, gioielli, incenso. Spesso le statue venivano portate in processione da un tempio ad un altro: davanti precedeva il sacerdote, dietro seguivano i fedeli. I sacerdoti erano una casta molto potente, rappresentavano il faraone e quindi la divinità e il loro ruolo era ereditario.

Nell’antico Egitto viene riposta molta attenzione all’esperienza della morte.  Le grandi Piramidi sono in realtà tombe per il faraone e sono da considerare come grandi scale per il cielo. Sono orientate perfettamente con i punti cardinali e, nell’immaginario collettivo, il faraone (dio sole) poteva così raggiungere la sua vera dimora “camminando” sui raggi solari.

L’aldilà cui si credeva era il regno del dio Osiride, ma solo l’uomo giusto poteva raggiungerlo. A ciascuno venivano considerate e giudicate le azioni compiute nella vita terrena, così da vedere se si meritava o meno l’accesso nel regno dei morti. A tale scopo veniva pesato su una bilancia il cuore, sede dei sentimenti e della volontà, e come contrappeso veniva appoggiata una piuma, simbolo di verità. Se il cuore pesava come la piuma o meno di essa il passaggio al regno dei morti avveniva, se invece il cuore risultava pesante (“cuore di pietra”) il defunto doveva entrare in un luogo di sofferenza dove la Divoratrice (metà coccodrillo e metà ippopotamo) l’avrebbe finito per sempre.

Gli egizi pensavano che l’uomo fosse costituito dal corpo e dall’anima: il ka e il ba. Le due forze si dovevano ricomporre insieme dopo la morte per originare l’akh, la pienezza. Ciò avveniva solo se il corpo era integro. Da qui l’importanza della mummificazione, che nell’antico Egitto venne perfezionata con tecniche a tutt’oggi sorprendenti.

 

Pantheon: letteralmente “tutti gli dei”, indica o tutte le divinità di una religione politeista o un tempio dedicato a più di un dio.

 

Il Mito di Osiride

 

Thot, dio del cielo, ebbe un figlio, Osiride, al quale diede il compito di portare la civiltà nell’antico Egitto. Osiride si sposò con Iside, ma la loro felicità fu turbata da Seth, il quale, invidioso del ruolo del fratello Osiride, pensava soltanto all’unico modo per eliminarlo.

Lo invitò a cena una sera, da solo, e nella sala dove si ritirarono gli fece trovare una bellissima cassapanca chiusa. Quando Osiride espresse la curiosità di sapere cosa ci fosse dentro alla cassa, Seth, facendo il misterioso e parlando di segreti, fece accrescere ulteriormente la curiosità nel fratello. Alla fine, fingendo una resa, raccontò del potere che la cassapanca aveva di dare a chiunque ci stesse disteso dentro ciò che desiderava. Osiride s’impose per provare e Seth approfittò del fatto per rinchiudere il fratello nella cassa e gettarla nel Nilo. Il Nilo la portò nel mare e il mare la fece naufragare nelle coste della Fenicia (Libano). Lì fu ritrovata molti anni dopo dai servi del re che cercavano alberi per costruire nuove colonne alla sala delle feste. Una tamerice che cresceva sulla riva del mare aveva inglobato a sé la cassa. Un fatto così sensazionale fece il giro del mondo allora conosciuto e la notizia arrivò alle orecchie di Iside e di Seth che, per ragioni diverse, corsero in Fenicia a vedere. Arrivarono all’apertura della cassa e mentre tutti i presenti erano stupiti nel veder uscire Osiride un po’ intontito ma vivo, Seth, disperato, prese la prima cosa a portata di mano, l’accetta dei servi, e fece a pezzi, davanti alla moglie inorridita, il fratello. Non contento, prese i pezzi e li disperse per l’intero Egitto. A Iside non rimase altro che cercare i pezzi e riunirli, attaccandoli con una sostanza appiccicosa fatta di resina e profumo chiamata balsamo e tenendo uniti i pezzi con l’aiuto di lunghe bende di lino.

A lavoro finito Osiride era simile ad una mummia e così si ritrovò nel regno dei morti a pesare il cuore di chi voleva entrare.

 

La grande madre Iside: “Io sono tutto ciò che fu, che è e che sarà” (da un testo rituale antico).

 

Il dio Osiride, raffigurato con i suoi attributi regali, il bastone ricurvo in mano e il flagello, elementi tipici dei pastori e caratteristici del dio Andyeti, cui è assimilato.

 

 

La religione nell’antica Grecia

 

Anche la religione dell’antica Grecia si presenta in forma prettamente politeista e antropomorfa. Una particolarità immediata che si nota è che qui gli dei abitano su di un monte, il Monte Olimpo. Di questo monte, però, non si vede mai la cima che è sempre coperta dalle nuvole e perciò è come se abitassero in cielo. Gli dei greci non avevano sono l’aspetto fisico degli uomini, ma anche i sentimenti e le debolezze: provavano amore e amicizia, ma anche rabbia, gelosia, invidia. Dell’umore degli dei ne risentivano gli uomini che spesso, letteralmente in balia di esso, dovevano sopportarne le conseguenze più disparate. Gli dei erano creduti immortali.

Numerosi sono i miti e le epopee giunte fino ai giorni nostri che ci permettono di ricostruire tutto ciò in cui gli antichi greci credevano. L’entità divina più importante era senza dubbio il Fato (Destino) le cui decisioni erano improrogabili e a cui persino Zeus doveva sottostare. In un primo tempo il Fato aveva la fisionomia di tre vecchie, le Moire, che possedendo un unico occhio in tre risultavano perlopiù cieche e avevano il compito di filare, tessere e tagliare il filo della vita.

Le divinità maggiori erano dodici, avevano un ruolo ben preciso e le loro decisioni ricadevano sulla vita degli uomini che vivevano come burattini nelle loro mani. Le alterne fortune dei viventi dipendevano infatti dall’essere protetti o meno da qualche divinità.

 

·         Zeus, padre e capo degli dei, dio del cielo e della terra.

·         Poseidone, dio del mare.

·         Ade, dio dell’oltretomba.

·         Era, moglie di Zeus e protettrice della famiglia.

·         Estia, dea del focolare domestico.

·         Demetra, dea dell’agricoltura.

·         Afrodite, dea della bellezza e dell’amore.

·         Pallade Atena, nata dalla testa di Zeus, dea della giustizia e della sapienza.

·         Ares, figlio di Zeus e di Era, dio della guerra.

·         Efesto, fratello di Ares, fabbro degli dei.

·         Apollo, figlio di Zeus e Latona, dio delle arti, guidatore del carro del Sole.

·         Artemide, sorella gemella di Apollo, dea della caccia.

 

Immortale: non muore mai, ma nasce; diverso da eterno: non nasce né muore, è da sempre e per sempre.

 

Il culto al dio Apollo, in particolare, aveva come scopo la conoscenza del futuro. Molti si recavano dall’oracolo per conoscere il loro destino. L’oracolo era il sacerdote di Apollo e i suoi responsi, di non facile comprensione, erano da interpretare. Celebre è il seguente: “Partirai Tornerai Non Morirai in battaglia”. Questa frase senza punteggiatura può significare sia la salvezza che la morte del richiedente, a seconda se si consideri la parola “non” in relazione a “tornerai” (non tornerai, cioè morirai) o a “morirai” (non morirai, quindi tornerai). Il più famoso tra gli oracoli era a Delfi.

L’aldilà era dapprima creduto solo come un posto triste governato da Ade, poi si inserì la possibilità di entrare in luoghi più piacevoli, chiamati Campi Elisi, grazie all’influenza di Persefone. Gli antichi greci credevano che solo l’anima fosse immortale e che continuasse a vivere separata dal corpo anche dopo la morte.

I templi erano sontuosi e di grande architettura. Erano decorati con fregi e abbelliti con dipinti, statue e colonne. Potevano essere dedicati ad un singolo dio o a più dei (pantheon).

 

Oracolo: dal verbo latino  “orare” (chiedere), è qualcuno o qualcosa considerato come fonte di saggi consigli o di profezie circa il futuro.

 

I resti del tempio di Poseidone a Capo Sounion, promontorio a circa 70 km da Atene. Secondo la mitologia greca sarebbe il luogo dal quale Egeo, re di Atene, si sarebbe gettato nel mare: da qui nome di Mar Egeo.

 

Moneta di bronzo raffigurante il volto di Zeus, databile attorno al 230 a. C. Spesso l'immagine sulle monete greche antiche rimanda alla presenza di una divinità o di una figura mitologica.

 

Il mito di Ade e Persefone

 

Demetra, figlia di Crono e di Rea, era la madre di Persefone. Un giorno Persefone, mentre coglieva dei fiori con altre compagne si allontanò dal gruppo e all'improvviso la terra si aprì e dal profondo degli abissi apparve Ade, dio dell'oltretomba e signore dei morti, che la rapiva perché da tempo innamorato di lei. Il rapimento si era compiuto grazie al volere di Zeus.

Demetra, accortasi che Persefone era scomparsa, per nove giorni corse per tutto il mondo alla ricerca della figlia, fino alle più remote regioni della terra. Ma per quanto cercasse, non riusciva né a trovarla, né ad avere notizie del suo rapimento. Fu Elios che disse a Demetra che a rapire la figlia era stato Ade.

Inutile descrivere la rabbia e l'angoscia di Demetra, tradita dalla sua stessa famiglia. Demetra abbandonò quindi l'Olimpo e, per vendicarsi, decise che la terra non avrebbe più dato frutti ai mortali, cosicché la razza umana si sarebbe estinta nella carestia. In questo modo gli dei non avrebbero più potuto ricevere i sacrifici votivi degli uomini, fatto di cui andavano tanto orgogliosi.

La dea si mise poi a vagare per il mondo, cercando di soffocare la sua disperazione, sorda ai lamenti degli dei e dei mortali che già assaporavano l'amaro gusto della carestia.

Alla fine, Zeus, costretto a cedere alle suppliche dei mortali e degli stessi dei, inviò Ermes, il messaggero degli dei, nell'oltretomba da Ade, per ordinargli di rendere Persefone alla madre. Ade, inaspettatamente, non si oppose alla decisione di Zeus e, anzi, esortò lui stesso animatamente Persefone a fare ritorno dalla madre. Ma un inganno era in agguato. Infatti Ade, prima che la sua dolce sposa salisse sul cocchio di Ermes, fece mangiare a Persefone tre chicchi di melograno, dando atto in questo modo al sortilegio che le avrebbe impedito di rimanere per sempre nel regno della luce.

Grande fu la commozione di Demetra nel rivedere la figlia e, in quello stesso istante, la terra ritornò fertile ed il mondo riprese a godere dei suoi doni.

Solo più tardi Demetra scoprì l'inganno teso da Ade: avendo Persefone mangiato i chicchi di melograno nel regno dei morti, era costretta a farvi ritorno, ogni anno, per un lungo periodo. Questo infatti era il volere di Zeus.

Fu così allora che Demetra decretò che nei tre mesi che Persefone doveva stare nel regno dei morti nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata.

 

Frederick Leighton, Il ritorno di Persefone, 1891, Leeds City Art Gallery, Gran Bretagna. Persefone, divinità legata ai riti agricoli, sposando Ade era divenuta anche la regina degli Inferi. Essa rappresentava simbolicamente l’alternanza e il suo culto fu particolarmente sentito in Magna Grecia ed in Sicilia. Nel suolo italico essa arriverà a corrispondere in futuro alla figura latina di Proserpina, anch’essa protettrice dei raccolti e del mondo agricolo in generale.

 

Il mito di Orfeo ed Euridice

 

Orfeo era figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope. Il dio Apollo gli donò la lira e le Muse gli insegnarono ad usarla, per questo era così bravo a suonare.

Un giorno Orfeo si innamorò di una ragazza, Euridice e si sposarono. Ma di Euridice era innamorato anche Aristeo, che la insidiò fino a che lei non scappò. Nella fuga Euridice venne morsa da un serpente e morì, andando così nel regno dei morti: l'Ade.

Orfeo disperato la seguì nell'Ade e portò la sua disperazione per la morte di Euridice, suonando e cantando in tal modo da far piangere tutti, Caronte, Cerbero e alla fine Proserpina stessa, moglie di Ade, che concesse ad Orfeo di riaccompagnare alla luce Euridice, a patto di non voltarsi mai a guardarla fino a che non fossero fuori dall'Ade. Arrivato però in prossimità dell'uscita, Orfeo venne assalito da un dubbio: e se quella che stava conducendo per mano non fosse stata Euridice, bensì solo un'ombra? E così si volse a guardarla. Il patto fu infranto ed Euridice tornò per sempre nel regno dei morti. Orfeo, disperato, si rifugiò su un monte, continuando a suonare.

 

 

Muse: nove personaggi femminili della mitologia, figlie di Zeus e di Mnemosine (Memoria)che rappresentavano l'ideale supremo dell'arte, di cui erano patrone.

 

Francesco Xanto Avelli, Coppa con Euridice, Aristeo e Orfeo, Urbino, 1531 circa. Narra lo storico Ovidio nelle Metamoforsi (X, 61-63): “Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata? Porse la marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di nuovo nel luogo donde s'era mossa".

 

 

La religione nell’antica Roma

 

Analizzando la religione antica romana risalta subito una sorta di parallelismo con quella greca, perlomeno dal punto di vista dell’elenco delle divinità. In realtà, i romani non si limitarono ad assimilare il mondo religioso greco, ma presero un po’ da tutte le religioni dei popoli che via via conobbero man mano che procedevano con le loro conquiste. Più che di religione politeista, infatti a Roma si può parlare di insieme di tanti culti.

La ragione va cercata nel sentimento superstizioso proprio dei romani che, per paura di incontrare divinità più forti delle proprie che potessero rivelarsi come nemiche, tendeva a dare spazio a tutti gli dei,  evitando così eventuali maledizioni. Come a dire che la via più facile non era combattere le altre religioni, ma “crederci”.

La conseguenza più immediata di tale atteggiamento fu una tolleranza nei confronti di tutti i popoli conquistati, ai quali i romani permettevano, sempre per non offendere le divinità, di continuare a professare il proprio culto.

L’unica religione nei confronti della quale i romani per un certo periodo di tempo si incattivirono, cercando di eliminarla con ogni mezzo attraverso persecuzioni, fu, come studieremo più avanti, la religione Cristiana.

 

 

Tolleranza: atteggiamento di rispetto verso idee o persone diverse.

 

Persecuzione: cercare, trovare, torturare e infine uccidere coloro che hanno un’idea diversa o che seguono una religione differente da chi comanda.

 

Immagine dell’interno del tempi del Pantheon a Roma, costruito dall’imperatore Adriano come tempio  dedicato alle divinità dell'Olimpo. La scrittrice francese Marguerite Yourcenar nella sua opera Memorie di Adriano fa così parlare l’imperatore: “Volli che questo santuario di tutti gli dei rappresentasse il globo terrestre e la sfera celeste, un globo entro il quale sono racchiusi i semi del fuoco eterno, tutti contenuti nella sfera cava”. Una curiosità: la cupola del Pantheon è la più grande cupola della città di Roma, più grande anche di quella della Basilica di San Pietro.

 

Le divinità nell’antica Roma erano considerate immortali e potevano essere sia antropomorfe che zoomorfe. Troviamo tra le principali divinità sia alcune di origine etrusca che di origine greca, ma le più importanti personificavano i valori in cui era fondata la società. Quirino, Giano bifronte, i Lari, i Mani e i Penati unitamente a Giove, Marte, Vesta, erano i principali. Quirino, aveva il tempio sul colle più alto di Roma (Quirinale), era il dio protettore della città e personificava Romolo, fondatore della stessa.

Giano guardava il futuro tenendo controllato anche il passato grazie alle sue due facce. Per questo motivo si cominciò a contare l’anno nuovo nel mese dedicato alle feste a lui riservate, gennaio.

I Lari, i Penati e i Mani sono divinità a protezione della famiglia e dello stato. Ogni casa aveva il suo larario che era l’altare per venerare i Lari.

Giove (Zeus) diventa il capo del pantheon, Marte (Ares) il dio della guerra e Vesta (Estia) la dea del fuoco sacro.

L’idea della morte e dell’aldilà si distingue però dalle religioni viste in precedenza. Gli antichi romani credevano che i morti entrassero in un regno che era diviso in tre parti: il Tartaro per chi era stato malvagio, i Campi Elisi per i giusti che avevano compiuto il proprio dovere, i Campi Lugentes per i giovani.

Per entrare in contatto con le divinità si ricorreva alla preghiera e ai sacrifici. Mediatore tra uomini e divinità era il sacerdote, che fungeva anche da aruspice, cioè studiava le interiora dell’animale sacrificato per leggervi se la divinità aveva gradito o meno il dono.

Anche i romani si affidavano agli oracoli per conoscere il futuro. Il più famoso era la sacerdotessa di Apollo che viveva a Cuma (vicino Napoli) chiamata Sibilla cumana.

 

I resti della Casa delle Vestali nel Foro Romano di Roma. Le vestali, sacerdotesse consacrate alla dea Vesta, avevano il compito di mantenere sempre acceso il fuoco sacro davanti alla Dea, la quale rappresentava la vita della città. Se una Vestale lasciava spegnere il fuoco subiva una punizione durissima: essere sepolta viva con una lampada e una piccola provvista di pane, acqua, latte e olio.